Tsukamoto Shinya + intervista

bbUscito su Alias di sabato 4 luglio (perdonate la forma  allungata, ma non ho tempo per correggerlo):

La carne e il metallo
di Matteo Boscarol
(TOKYO )Tetsuo, uomo di ferro, è un nome che ha comiciato a circolare in territorio occidentale a partire dal biennio ’88-’89 quando nei nostri lidi per vie traverse arrivano due opere che sconvolgono, ed il verbo non ci
sembra qui esagerato, l’immaginario di molti. Stiamo parlando di Tetsuo di Tsukamoto Shinya e Akira, firmato Otomo Katsushiro, la prima un’opera di selvaggia, delirante e ibrida sperimentazione e un’animazione che ha
fatto epoca la seconda, entrambe dominate da un senso di distruzione del mondo, da un’immaginazione-buco nero che inghiotte, dove la città è una delle protagoniste, utero malvagio che prima cresce e poi annienta i suoi «bambini». Venti anni sono passati da quel 1989 in cui prima al Fantafestival
di Roma, vinse il primo premio, e poi nelle nottate di Fuori Orario («noi siamo con la notte una carne sola») il Tetsuo di Tsukamoto imperversò, e grazie allo scambio di videocassette entrò nell’ideale videoteca di molti appassionati di cinema e non solo. Questo minimo ma indispensabile anniversario e la presenza di Tsukamoto Shinya in persona alla Milanesiana di oggi 4 luglio, è allora una buona occasione per ripensare, e soprattutto rivedere, la sua folgorante carriera di artigiano del cinema, una scheggia
impazzita che forse più di qualunque altro regista nipponico ha segnato questi ultimi due decenni della settima arte. Basti ricordare che l’impatto
di Tetsuo nella nostra penisola non ha avuto ripercussioni solo
nel mondo della settima arte, ma la sua potenza le sue tematiche tutte in qualche modo legate alla filosofia di un corpo aperto e selvaggio ha senza dubbio influenzato, o almeno interessato, anche la ricerca di certi ambienti filosofici cyberpunk dell’epoca (ricordiamo qui almeno Antonio
Caronia, Macrì, Roberto Terrosi Helena Velena e chissà anche Mario Perniola con la sua «cosa che sente» ha sentito qualche sorta di affinità con il mondo del regista giapponese).
Tutto comincia nella capitale nipponica, Tsukamoto è un figlio di quella speciale metropoli che è Tokyo, luogo di scontri e di flussi imprevedibili. In particolare il regista nipponico è originario del quartiere centrale di Shibuya,
una fossa, una conca (è questo infatti il significato del termine giapponese) un luogo dove i corpi e la carne delle miriadi di persone che ogni giorno vi si
riversano, il cemento dei palazzi, il fluorescente delle luci notturne
e il ferrame dei mezzi di trasporto che ingorgano le strade, si ibridano e si fondono di continuo. Un mischiarsi sì fisico, ma che è prima di tutto mentale, un gorgo organico-inorganico che plasma l’immaginario di chi ci vive
e anche di chi lo sfiora soltanto. Ci sembra questo un punto abbastanza
importante se si vogliono afferrare alcuni elementi della poetica cinematografica di Tsukamoto. Ci sarà allora più chiaro forse come molti dei suoi film portino alla luce questi legami nascosti, queste mescolanze che ad un primo acchito non sarebbero facilmente afferrabili, è un cinema di rivelazioni, Tsukamoto alza il velo per indicarci «l’invisibile sorprendente», come è giustamente titolato l’evento che la Milanesiana gli dedica
nella giornata di oggi.
In questa occasione la manifestazione nel capoluogo lombardo presenterà al pubblico tre delle opere del regista di Tetsuo, i due capitoli di Akumu Tantei (Nightmare Detective 1 e 2) più Bullet Ballet, davvero una buona scelta per (ri)pensare alla potenza visionaria ed alla unicità di un autore a 360 gradi, Tsukamoto, che continua ad essere più conosciuto ed aprezzato all’estero
che in patria. In Bullet Ballet, datato 1998, troviamo molte delle tematiche care al regista e quel suo modo deviato di guardare e creare la realtà che rendono il suo cinema unico. La storia del pubblicitario Goda, impersonato da un tesissimo Tsukamoto, che improvvisamente e apparentemente senza
motivo perde la sua fidanzata che si suicida, ci rammenta comesotto ciò che chiamiamo normalità dorme sempre un elemento di distruzione e di mutazione. La bravura e la novità di Tsukamoto stanno nel suo grado di visionarietà all’ennesima potenza, bastano poche immagini per legare e ibridare le ossessioni ed il destino del protagonista con le geometrie
dei bassifondi rugginosi della città. Il bellissimo bianco e nero esalta il senso di disperazione di Goda e la sua ricerca di senso che è tutta incanalata ossessivamente nell’inorganico e nel metallico della pistola, arma con cui la sua amata si è tolta la vita. Il doppio legame di odio-attrazione dell’oggetto porta a una discesa nel gorgo infernale della città, dove incontra la disperata,
diafana e bellissima Chisato (Mano Kirina), novella psicopompa che lo guida verso quella che sembra l’unica salvezza, quel praticare i margini, stare in bilico, come suggerito dalla scena in cui la ragazza dondola sul binario
della metropolitana. Un burroughsiano blade runner, un correre, o meglio un danzare come ci suggerisce il titolo sulla lama fredda e tagliente che è la metropoli, un darsi incondizionato ai suoi ritmi ed alle sue pulsioni che sono quelle intime della materia. Il tutto è magnificato dalla musica, ancora una
volta opera dello stesso Tsukamoto, un battito industriale dal ritmo indiavolato, un tappeto sonoro che, come in Tetsuo, ritma
e punteggia lo svolgimento dell`intera opera e rivela il cuore
pulsante del metallo, la nuova carne salvifica della metropoli.
La stessa atmosfera claustrofobica e di cancellazione di ogni speranza, anche se i due lavori si distaccano per stile e anche per produzione da quelli precedenti, la troviamo nei due film dedicati alla figura dell`indagatore
dell`incubo (Akumu Tantei 1 e 2), il detective che scandaglia gli incubi degli altri lo fa suo malgrado portando su di sé il peso di tutto ciò che sta nella parte oscura degli esseri umani, una discesa nelle possibilità «invisibili» di
abiezione, uno sguardo nel pozzo nero senza fondo, in quell’abisso che se scruterai a lungo, parafrasando Nietzsche, guarderà dentro di te. Tsukamoto è stato bravo in questi due film a non tradire le proprie ossessioni a fronte di un progetto, come dicevamo, più mainstream rispetto alla sua produzione
solita, ricordiamo fra l`altro la partecipazione nel ruolo del protagonista in questi due lungometraggi del giovane e popolare Matsuda Ryuhei. Potremmo
dire che i deliri e le devianze del primo Tsukamoto sono qui sublimati e portati ad un livello tutto interno, quasi una sparizione, un (ri)diventare invisibili quindi, tanto per tornare al tema della Milanesiana, una sottrazione
che però, come tradizione horror giapponese vuole, proprio per la sua caratteristica di non località espande il senso di paura a tutte le cose, il terrore può venire dappertutto ed il panico è generale. Interessante sarà vedere come Tsukamoto affronterà la sua prossima opera, chiusura e rilancio dei venti anni passati a fare e sperimentare nuove visioni col cinema. Si tratta di un progetto legato ad un nuovo Testuo, l’ennesima e pensiamo (o speriamo) non l’ultima mutazione dell’uomodi ferro, prima tentativamente intitolato Bullet Manora forse definitivamente Tetsuo Project. Del film si sa poco se non che è ambientato nella capitale nipponica e che come sempre Tsukamoto avrà il controllo totale della situazione, il che fa ben sperare.

■INTERVISTA ■TSUKAMOTO SHINYA ■
Un detective amico
per dormire tranquillo

di M.B.
(TOKYO) Abbiamo fatto a Tsukamoto alcune domande:
Sono passati 20 anni dall`uscita, in Europa, di «Tetsuo». In questo lasso di tempo il suo modo di fare cinema è in qualche modo cambiato?
Non so se sia una cosa positiva o negativa, ma posso dire che il mio modo di fare cinema in questi due decenni non è cambiato per niente. Vent’anni fa per realizzare Tetsuo ho fatto tutto in modo artigianale ed anche adesso continuo
a fare così. Regia, sceneggiatura, fotografia, luci, direzione artistica e montaggio, adoro essere coinvolto in tutte queste attività e così facendo
creare un mondo, anche se ora posso fidarmi di più dei miei collaboratori e affidare loro sempre più compiti, cosa che mi ha permesso di aumentare il numero di progetti a cui dedicarmi.
Il rapporto tra inorganico e organico è un tema molto presente nei suoi film, forse in modo piu` esplicito in quelli di inizio carriera, ma anche negli altri forse in modo più fine e meno apparente. Ci potrebbe dire qualcosa a proposito?
L`inorganico si rivela principalmente nei palazzi di cemento, nelle metropoli e nella tecnologia, mentre l`organico si esprime soprattutto nell’umano. Ciò che nei miei film ho cercato, e cerco, continuamente di fare è stato di descrivere la relazione esistente fra gli esseri umani e la tecnologia e tra la metropoli e le persone che ci vivono. Anche se la città ha delle caratteristiche di intimità che la fa assomigliare a una famiglia, la verità è che possiede un duplice sentimento, una doppia volontà, sia di protezione che di distruzione nei confronti degli esseri umani che ospita.

Alla Milanesiana vedremo tre dei suoi lavori, fra questi «Akumu Tantei» 1 e 2 («Nightmare Detective 1 e 2). Come è nata l’idea dei due film?

Sono già passati quasi 15 anni da quando ho iniziato ad avere le prime idee al riguardo. Fin da quando frequentavo la scuola elementare sono sempre stato un grande appassionato dei romanzi di Edogawa Rampo, uno scrittore giapponese di mystery, ed anch’io quindi volevo inventare il mio detective.
Quando ancora ero un bambino ero terrorizzato dalla notte e dall’idea
di dormire, così quando sono diventato un ragazzino ho inventato
un detective dell’incubo proprio perché mi venisse in aiuto, ma l’uomo che avevo pensato non era cosciente di essere un detective, aveva la facoltà di entrare nei sogni altruima allo stesso tempo non voleva assolutissimamente
farlo. Avevo pensato che fosse interessante creare un personaggio che
anche se gli veniva chiesto di vedere i sogni altrui e di aiutare qualcuno, si rifiutava sempre di farlo. Un detective dell’incubo che percepisse
questa sua facoltà come un trauma, sempre pessimista e che cercasse solo con riluttanza di trovare le soluzioni ai vari casi e alle varie difficoltà, ma che con l’andare del tempo riuscisse a procedere anche a guarire la natura umana.


In Giappone e anche al di fuori dell’arcipelago nipponico c’è qualche regista che rispetta o che ammira particolarmente?

Ce ne sono tanti, ma direi fra i giapponesi almeno Kurosawa Akira, Kumashiro Tatsumi e Imamura Shohei, mentre fra gli occidentali,
per citare solo i più importanti per me, Ridley Scott e Martin Scorsese. Di quest’ultimo soprattutto di recente ho rivisto e riconsiderato molti film.
Da un po’ di tempo circola la notizia che al momento sta lavorando alla post-produzione del nuovo capitolo di «Tetsuo», «Tetsuo Project»…
Tetsuo 3 è la continuazione dei primi due capitoli, Tetsuo e Testuo2 -Body Hammer, girati rispettivamente nel 1988 e nel 1990. Ho riflettuto
a lungo prima di imbarcarmi in questo progetto e finalmente l’anno scorso ho iniziato dalla fotografia. Il protagonista è un americano in una Tokyo cyberpunk ed elettrica ed il film è una storia che rappresenta in qualche modo la summa delle vicende legate a Tetsuo.

5 Comments

  1. Caspita, non sapevo che fosse uscita quest’intervista!
    Grazie per averla messa a disposizione, sono torppo curioso di tutto quello che riguarda Tsukamoto.
    Luc

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